Nella quiete del parco, sopra una panchina noterai un album bianco. Sentirai sulla pelle un vento scivoloso, viscido, denso come miele grezzo, caldo come un bacio d’armonica passione. Troverai l’eco dei pianti che scandagliano le valli in cerca dei propri figli. Una bottiglia con un po’ di whisky avanzato per riflettere i raggi dorati dalla rifrazione. L’erba ancora imperlata di rugiada fasciata dall’inerzia di un’ubbia devastante. L’antro di un bosco che non permette alla luce di posarsi sull’humus argentato, chiuso nel suo stesso lugubre silenzio, senza canti, né trilli, né urli distanti. Osserverai in lontananza un borgo a malapena distinguibile nel riverbero scintillante, accovacciato sulla sua collina di calanchi. Case e palazzi medievali, le vie che contengono ancora i resti delle camminate lievi e divertite fra vetrine addobbate e aroma di caffè uscito da un bar. Annuserai quel poco che rimane dell’odore arrivato da una friggitoria ancora aperta dove dietro il banco, in un olio crepitante, sfrigolano polenta e coccoli salati. Pochi metri ancora e dopo il municipio con il riso sui ciottoli davanti al portone – appena gettato da qualcuno forse all’uscita di due sposi felici, lui in giacca e cravatta blu, lei col solito abito nuziale e un mazzo di fiori lanciato al cielo sperando di offrire il futuro a un’amica – giungerai davanti all’antica pieve del decimo secolo. Non entrare, per cortesia. Non farlo! Lo so, non hai trovato niente, non hai udito suono, hai solo visto l’oblio, odorato il passato, ti sei scaldato col calore della memoria. Non addentrarti nella navata. Non ascoltare i passi che risuonano lungo i muri di pietra. Ma non ubbidirai a causa del tuo arrogante desiderio di conoscere l’inconoscibile, di sfogliare quel quaderno scritto col vuoto di una biro bianca, ricco di informazioni che non hai voluto vedere convinto da un nero inchiostro. Inutile monito. Entrerai lo stesso: le tre navate, l’acquasantiera piena di una fede inossidabile, le panche, il presbiterio rialzato, l’abside leggermente obliqua rispetto al corpo della chiesa, l’altare. Ci sarà un assembramento, poche persone che nell’ambiente ristretto sembreranno una folla, si volteranno all’unisono per osservarti, ma tu non li vedrai, immobili come parole d’inchiostro bianco su carta bianca, passerai oltre, lontano dal paese, verso una città, fuori da una metropoli, incontro a una nazione, nell’assenza di un ricordo, nel nulla di una storia.
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Per un momento mi sono visto lì in quello che descrivevano i tuoi testi 🙂
Spero di non averti rattristata. Grazie carissima 🙂
Non ti preoccupare, sto bene, grazie ❤
Un abbraccio 🙂 🙂 ❤
Grande questa, bravo!
Molto gentile. Grazie 🙂
“Ma non ubbidirai a causa del tuo arrogante desiderio di conoscere l’inconoscibile, di sfogliare quel quaderno scritto col vuoto di una biro bianca, ricco di informazioni che non hai voluto vedere convinto da un nero inchiostro.”
E’ bellissima, dà quel senso di indefinito, di sospeso, quel bianco contrapposto alla certezza dell’inchiostro che imprime senza lasciare lo spazio all’intuizione, eppure nonostante tu lo abbia scritto nero su bianco, riesci a lasciare aperta la porta sulla dimensione dell’astrazione, nella quale l’intuizione della conoscenza si fa tangibile.
Tutto lo scritto è molto bello e catapulta lì, in quel luogo, ma questa parte “riflessiva” e profonda mi ha colpita molto. Grazie 🙂
Grazie carissima Amaranta. Hai letto perfettamente quello che volevo lasciare. Non era semplice tracciare con il nero la forza del bianco, della pagina bianca che contiene l’indefinibile. Ci ho provato, ma la tua lettura mi riempie di gioia. Grazie!
Grazie a te, veramente molto molto bello 🙂
Grazie 🙂 ❤
Oh, non entrare? É impossibile! Si entra e ci si addentra… e poi ci si dispiace che la narrazione si sia già interrotta, perché certo continuerà e si continuerebbe ad ascoltare!
Molto bello davvero.
Grazie Mimi per il lusinghiero commento che gradisco molto. Grazie 🙂
Immagini molto belle!
Grazie! Gentilissima. Un caro saluto 🙂
Un caro saluto a te.
A presto.
😊
Uno scritto che è un incanto. Immagini perfette che sanno ben rappresentare l’ interno di una pieve antica. Silenzio, solitudine ma forse anche un ritrovarsi, perché no ? Dove c’è silenzio, anche nella solitudine più estrema c’è un margine dove si raggiunge il proprio io. E quella contrapposizione tra il nero e il bianco, tra la chiusura , il buio e la luce, è speranza in una rinascita. Entrare in una pieve antica è emozione profondissima. Grazie di cuore per questo immenso regalo. Parole che mi hanno molto colpita.
PS Il mio prossimo post ti piacerà , ne sono sicura. Con calma arriverà.
Bacioni e bravo è dire poco. Isabella
Grazie Isabella, sei gentilissima. Certamente. La speranza c’è e c’è la luce e ci sono le persone, la bellezza di una pieve, quella spiritualità che ti dà la forza per recuperare energie e rinnovarsi. Sono felice che il racconto ti sia piaciuto. Grazie ancora. Non vedo l’ora di leggere il tuo prossimo post. un caro saluto. 😘
Sì, mi è piaciuto molto infatti. Grazie anche a te per questo bel commento di risposta. Ti abbraccio forte augurandoti la buonanotte. Isabella
Buonanotte, carissima Isabella. Un forte abbraccio 😊
Un brano che illumina la mente, nel suo percorso di lettura, così diverso e originale….immagini che si susseguono, rapportate, con sensibilità, allo stato d’animo dell’attimo e le emozioni, sempre diverse che ne scaturiscono, in uno scenario che ammalia per la sua speciale essenza….
Articolo molto apprezzato.
Buon mercoledì e un caro saluto, Luciano,silvia
Grazie Silvia per il tuo preciso e approfondito commento che ho molto gradito. Buon mercoledì, carissima. Un abbraccio 🙂
Ti leggo sempre con molto piacere. Felice giorno
Per me è la stessa cosa. Leggerti è un grande piacere. Felice giornata a te. 🙂