I cavi dovevano essere installati. Due giorni prima avevo fissato su una parete un trasformatore per lampade a led, di forma circolare e di un orribile grigio cenere. Serviva a ridurre la tensione da duecentoventi a dodici volt per collegare alcuni faretti su un sistema di illuminazione a cavo, un binario in acciaio posto sotto il soffitto. Soddisfatto per una parte di lavoro concluso con il binario bloccato a un lato del muro, dovevo soltanto tendere i cavi e fissarli sulla parete opposta. Un trapano nella mano per due fori, inserire i morsetti tenditori e tirare i fili. Non avevo ancora avvitato le viti nei tasselli. Il giorno prima mia madre era stata portata d’urgenza in rianimazione, un’ischemia forse dovuta ad anni e anni di eparina per combattere una infausta vasculite necrotizzante che dopo due lustri aveva ripreso il suo corso. Ero stato al suo capezzale per oltre otto ore e avevo guidato per quaranta chilometri prima di tornare a casa ad avvitare i cavi di acciaio. Lei sarebbe morta di lì a un mese alle tre di notte di una gelida domenica di febbraio.
Ti ho vista con la cannula nasale
Le mani proiettate su di me
come per rassicurarmi
Senza una parola
Il respiro in cerca di una vita
che stava per salutarti
Troppi lacci e fili per un abbraccio
Troppo bianco sul tuo volto
per trovare i colori del passato
Solo uno sguardo ai giorni lontani
concentrato nei tuoi occhi
dentro i miei
E so che mi hai sorriso
Ero troppo stanco per salire sullo scaleo e procedere, troppo preoccupato, agitato, con mille pensieri in testa. Solo telefonate di parenti per sapere di mia madre con annessi consigli su cosa fare per assisterla al meglio, ma anelavo al silenzio, senza suggerimenti o auguri, né voci clonate condensate in un’eco infinita d’identico vibrante suono: come sta? Dovevo finire il lavoro, pranzare, rispondere al telefono, guidare, correre, reparto terapia intensiva, due, tre quattro ore e tornare, cenare e riposare. No! Dovevo stringere le viti e tirare i cavi.
Se
quando se
saprai che il tuo futuro colpirà forte
ti farà del male
e le immagini saranno foto fuori fuoco
o moti con le loro scie di mosso
dinanzi a occhi incapaci di entrare
nel loro spettro visivo
La realtà abbandonerà per un attimo il tuo corpo
per oscurarsi della tua angoscia
sciogliersi in un fluido indefinito
di un imponderabile chiaro-scuro
che indebolisce gli occhi
Quando non servirà a niente
il gioco di una articolata premura
l’abbaglio di una vaga inespugnabile sicurezza
Quando se, accadrà…
Accadrà!
I piedi sulla piattaforma in alluminio mentre l’ultima vite dentro il tassello non si stringe. La tolgo, la inserisco e avvito facendo forza con le gambe. Le immagini che si accumulano, i pensieri che saettano. Lo scaleo cede e cade. E il mondo svanisce. Il Nulla invade il mio corpo disteso per terra con una lesione sul lobo occipitale e sangue, tanto sangue schizzato sul pavimento. La paura della mia dolce metà, gli strilli, qualcuno che entra. Niente più mi riguarda. Mia madre in terapia intensiva, i binari con il trasformatore, le telefonate, l’ansia, la stanchezza: adesso il mondo è una culla avvolgente in cui riposo sereno. Ma dopo alcuni minuti mi schiaffeggia violento, mi percuote sugli occhi che non vedono e mi blocca la bocca da cui non escono frasi. Non provo pena né riesco a respirare. Il mio corpo non è più mio, galleggio in un vuoto di dolore.
Sento intenso il limite del nostro volere
La soglia vicina dove muore il tempo
dove lo spazio cede il passo al tocco mortale
La morte sorvola i miei occhi ancora ciechi
blocca l’alito che vuole entrare nei polmoni
congela le membra. Indecisa sospende le parole
nel vuoto sciogliersi della paura
Quando poi, in seguito, ripensandoci
ti accorgi che non hai oltrepassato soglie
ma sei rimasto freddo, occhi vitrei senza uno sguardo
nel tuo manto perduto in un attimo banale
Mi ricordo solo dell’ultimo pensiero, l’ultima frase prima del buio, nel vedere lo scaleo cadere trascinando il mio corpo. Poco prima che il cranio sbattesse sul muro facendomi perdere i sensi: «Romperà la tv?».
mi limito a registrare certe coincidenze, il tuo duplice dolore e una data, il 2005, anno in cui è mancata anche mia madre dopo ischemie in seguito a un brutto infarto. un abbraccio
Mi dispiace. Abbiano provato lo stesso dolore quasi nello stesso periodo. Terribili coincidenze. Ricambio l’abbraccio.
Un dolore fortissimo e indimenticabile che la vita propone. Vi si torna col pensiero nella speranza che si sia alleggerito nel tempo, ma e’ solo un’illusione perche’ quella mancanza crea un disequilibrio interiore molto forte, vicina soprattutto a un evento drammatico per se’ stessi.
Un articolo delineato con grande spontaneita’, che ho molto apprezzzato per forma e contenuto.
Cari saluti, Luxor, silvia
Grazie, Silvia. Un commento molto gradito e sempre molto preciso. Grazie. Un caro saluto.
Momenti brutti, indimenticabili.
Sì, sono situazioni che non vorresti mai vivere ma che quando capitano ricorderai per sempre. Grazie. Un caro saluto.
Per quanto riguarda il pezzo, molto bello l’alternarsi di racconto e poesia. Hai ben reso la drammaticità e lo scorrere lento e scandito del tempo.
Grazie, sei molto gentile. Un commento graditissimo 😊
L’ha ripubblicato su Alessandria today @ Web Media Network – Pier Carlo Lava.
Grazie mille.