… nei giorni più opachi di un anno perduto tra fresche stagioni e ricordi flou il vecchio intento a portare alla bocca un cucchiaio colmo del suo passato incollato alla sua carrozzella nel tentativo di alzarsi cade sbattendo il volto rialzandosi in piedi col sangue colante da nuove narici adesso si sente in forze capace di camminare ma non è l’ospizio il suo alloggio dimorando nella trincea accanto ad altri fratelli dai volti tumefatti e anneriti dalla polvere da sparo mentre il fango cola sugli scarponi terra patria liquefatta da pioggia incessante e fredda come quel gelato troppo compatto per una bocca edentula che l’infermiera gli ha appena calato nella gola non sa se riuscirà a morderlo e leccarlo è un’impresa con la lingua tumefatta da una neoplasia che lo sta consumando e allo stesso tempo il volto insanguinato per un’esplosione vicina dopo che si è rialzato per un attimo svenendo è stato preso e portato nelle retrovie impedendogli così di andare a morire col pugnale tra le labbra nella battaglia del solstizio non sarà nel novero dei novantamila morti e avrà una vita lunga che adesso preferisce non ricordare anche se immagini lontane si legano alla storia del suo paese la seconda guerra e troppo vecchio per combatterla e il ricovero nel manicomio per non avere ricordi adesso sulla sua sedia morendo vede i giorni impilati come sfoglie sottili che non formano spessore il tempo è sempre poco anche se la vita sembra lunga e non può non deve morire col gusto congelato al pistacchio succhiato dalla sua bocca vuota e dolorante cadendo dalla sedia e insanguinandosi il volto sulla pietra sbrecciata deve impegnarsi a ricordare quel giorno in cui avrebbe dovuto trovarsi a qualche metro di distanza quando il sergente lo chiamò a sé e lui s’attardò per allacciarsi lo scarpone sì adesso vede i lacci sciolti e il suo superiore gli dice che è l’ora spazzeranno via gli austriaci mentre l’artiglieria bombarda le avanguardie nemiche e cadono le schegge sparate dai mortai e lui non allaccia le stringhe e va incontro al sergente e insieme a cento mille altri correranno col pugnale uccidendo e ricacciando il nemico sapendo che non sarà mai un vecchio abbandonato e obbligato ad obbedire a una stupida infermiera nata in un mondo libero ora che le sue spoglie riposano nell’ossario di Fagarè e mentre quel corpo vecchio svanisce e si incarna nei resti di un milite ignoto morto in battaglia il sorriso di una bocca marcia affiora sulle labbra giovani di un eroe colpito al di là del Piave che cade sbattendo la testa su una pietra sbrecciata sa di avere tutto il tempo dell’universo…
Il mio romanzo
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Un barlume di ucronia assai inquietante. Nice flux!
Sì, speravo di rendere l’angoscia della solitudine che ci riduce a non apprezzare il miracolo della vita. Grazie.
apnea respiro strozzato cuore andante a tempi fuori sincronie contemporanee.
hai perfettamente colto lo spirito di quello che spero di fare ma per adesso è solo una speranza
ma no dai..^^
🙂
. . . piena
profonda
tristezza
dolorosa . . .
Un grande dolore, interno, denso che non mi permette neppure di parlare. Per questo lo scrissi come in affanno tutto d’un fiato.
Pingback: . . . Un cucchiaio colmo del suo passato | iwantyouhappy
Grazie, cara Raisa. Sono onorato. Un caro saluto ❤😘