Corrompere i propositi non è come cambiare vestito la sera, o come, ricordo, quando seguivo da adolescente la ragazzina in bicicletta, quella con i capelli scuri e la coda di cavallo che le accarezzava la schiena scoperta per via di una canottiera estiva di cotone, quella che mi fu presentata da un amico di classe, un certo, sì quello con la madre anziana che poi si è diplomato al liceo artistico in Via Cavour, ormai chiuso da tempo, presentatami dicevo da questo amico che una volta a casa sua scrissi una poesia sul disegno da lui dipinto sul cartoncino bristol: giocavamo a fare i dadaisti, bevendo birra a undici anni e anche sambuca: ma per la sambuca posso garantire solo per me, perché la bevevo a casa di nascosto. Quando tutti dormivano, e ancora mio padre e mia madre potevano sognare insieme la loro vita passata, durante la notte aprivo in silenzio lo sportello del buffet impiallacciato in ciliegio e inserivo la mano tra alcuni Old fashioned con fogliolina e ciliegina incise sul vetro e un vassoio con un servito di tazzine da caffè in porcellana Capodimonte che mio padre aveva portato da una delle sue gite di lavoro da autotrasportatore acquistate o forse avute in omaggio perché difettose. Appunto badando a incuneare mano e braccio in un selva di chincaglieria fragile e rumorosa arrivavo fino ai liquori, facendo attenzione a non urtare il Ballantine’s o l’Etichetta Nera e agguantando la Sambuca che all’epoca era molto gustosa. Una volta ne bevvi mezzo litro. Vagavo per la casa sbattendo sui muri e colpendo con le gambe le sedie che cadevano rovinosamente a terra, mi piegavo dal dolore e vomitavo cercando di centrare la tazza del wc che puntualmente mancavo e allora dovevo pulire prima che si alzassero i miei e in seguito dovevo fingere di essere sobrio per non dare a vedere che già il mondo mi pareva mezzo vuoto. Quel giorno avevo bevuto due bicchieri, riempiendo all’orlo un ballon glass molto capiente, e l’amico mi lasciò solo con la ragazza. Procedendo insieme sulle biciclette, mentre le ruote rotolavano sul lastricato interdetto alle auto, su cui si affacciavano prati circondati da siepi di Agazzino con le sue bacche arancione e aspre che amavo mangiare in autunno, e dove facevano foggia di sé lussuriosi lecci, ontani, pioppi e platani all’epoca non ancora abbattuti, cercavamo in qualche modo di comunicare: lei sprizzando da tutti i pori della sua pelle feromoni a volontà ed io al contrario elargendo verbosità gratuita prelevata direttamente dalle mie paure dell’infanzia e raccattata su qualche libro letto nella biblioteca di quartiere; una verbosità però casuale che usciva libera dalla mia bocca già in parte cariata (e ancora oggi incolpo quel dentista addormentato che non si decideva mai ad otturarmi i denti). Appoggiammo le biciclette sull’agazzino che sprofondarono istantaneamente nelle foglie mentre le ruote si incastravano tra i rami. Nell’istante in cui cercavo di recuperarle senza esito, la ragazzina mi supplicava di lasciar perdere e mi implorava di sederci sulla panchina tentando di tirarmi e allungando le sue magre gambe in direzione opposta alla mia ma senza risultato, perché il suo peso era molto inferiore al mio e, nonostante quell’ossuta bambina fosse per me una splendida creatura, non potevo darle a vedere che mi interessavano di più i suoi attillati short delle biciclette incastrate; e inoltre, ritornando all’inizio di questo episodio, dicevo, corrompere i propositi di entrare in intimità con una donna per poi abbandonarli al primo ostacolo fu tutt’uno con la sua reazione stizzita, quando mi disse di sedermi e io mi sedetti e lei si sedette sulle mie gambe e mi chiese cosa avremmo dovuto fare ed io risposi: “Sono bravo in Geografia”.
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con il mondo mezzo vuoto, tanto vale che il bicchiere sia mezzo pieno.
E pensare che lo riempivo fino all’orlo. Mi sembrava buono 😉
eh, immagino, c’erano uno sportello simile e simili servizi da caffè da aggirare stando attenti a non fare rumore, dalle mie parti 😉
Ah! Allora sono esperienze comuni o meglio… comuni brindisi^^