Uno sguardo. Tra la luce della notte e l’oscurità incipiente del giorno che nasce. Brividi sulla pelle fredda. Nelle pieghe della notte soccorrimi dentro. Una veste strappata. Sangue e fango sul volto, nella notte, gli arti gelati, parto nell’incertezza. Partiva da una fuga come un pezzo di cartone staccato da un cartello. Osservava distante i barbagli dei fari che esplodevano nell’iride occultando la vista con la luce. E volava alto il suo sguardo, il mio sguardo, sopra la collina fino a vedermi (vedersi) con un passo esitante procedere avanti e guardare (io, lei) le architetture illuminate della città. Quindi avvicinandosi fino ad inquadrare una finestra del vecchio quartiere presa e gettata senza esitazioni dallo sguardo onirico, per poi vedersi di nuovo nel bagno a medicarsi il taglio sul labbro superiore e le ecchimosi sul volto. Coricandosi lentamente con freddo calcolo, senza esitazioni e sentirsi accartocciare dentro, un’implosione improvvisa, da tempo aspettata, come per restringersi, peau de chagrin destinata al nulla. Nel mezzo c’è il tuo sogno. Tra il passo stanco della tua Saffo dalle vesti strappate, proiettato lungo una strada di notte, al freddo, e il suo sonno nel tuo letto, può esservi tutto. L’hai vista l’altra sera di notte? Era una bionda, una nera, una slava di quindici anni, era una ragazza abbandonata dal suo uomo dopo un litigio, sola per la strada. Camminava tra le molestie e le luci in silenzio, annullandosi nella paura e nella rabbia. Era quello che avresti voluto farle o eri tu che correvi spaventata, abbassando la gonna cortissima per coprire un po’ più le gambe. Oppure ti portavano aiuto. Cercando di offrirti un’ancora, la comodità di un viaggio breve, in auto, fino a casa. Non fidandoti, accettavi. Correva la piccola auto lungo i viali, passava davanti al tuo bar chiuso. Ferma ad un semaforo rosso. Una sbirciatina nell’auto ferma accosto. C’era lei con un uomo. Un sorriso interiore, imprevisto. Perché una donna non può toccare il culo ad un uomo? Pensavo. Pensavi. Pensava. Signora, vuole fare denuncia ai Carabinieri? È stata aggredita, vero? Non ascoltavi. Sognavi qualcosa… immaginavi l’arte… soffermarsi sugli attimi… immaginavi un cavaliere che ti salvava… l’avevi accanto, ma non lo vedevi. Eri romantica nei sogni, ma crudele nella realtà, che non potevi capire subito, troppo grezza, da raffinare, caotica. Vagare negli sguardi e nei sorrisi, nel colore e nei suoni. Partenze. Appartarsi. Giocare di corsa. Fuggire nella paura. Il dolore scavato dentro, uscito fuori, librato nell’aria, mi libera. Stranamente mi fa bene. Frizza forte, ma strizza il dispiacere, è un’esposizione nella totalità. Abbrutito dal nulla sei adesso in credito col tutto. Solo piegandoti nell’infimo, tocchi l’immensità dello spiegato.
Il mio romanzo
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Un racconto dal dire ricercato, e nello stesso tempo spontaneo, nell’originalità della sua trama
Un saluto,silvia
Troppo gentile. Come ho scritto su Afasia della notte nella pagina “Qualcosa intorno ai post”, il racconto è uno scarto, una parte di un romanzo che non ho mai completato e che avevo deciso di togliere. Troppo diverso dal corpus del romanzo. Ma hai ragione quando scrivi che è spontaneo. Infatti mi è venuto di getto, come uno sfogo, come un tentativo di vestire panni di altri.